Testi

HALLELUJAH TOSCANA
fotografie Marco Paoli
poesie Alba Donati
a cura di Sergio Risaliti

Controtendenza

Il turismo di massa erode la realtà di un luogo di conclamata bellezza come la Toscana riducendo a merce ogni spazio e pure il tempo della contemplazione. La fotografia è la sua arma migliore. Onnivora, ubiqua, la macchina fotografica non si lascia sfuggire quasi nulla. È un desiderante cannibalesco.  Così, l’occhio è attirato in un percorso prestabilito, dove ciascun dato è catturato ed esibito come preda e oggetto da museo, in uno scambio vizioso tra arte e merce. Tutto è arte e tutto è merce. Nella Toscana del global tour c’è spazio solo per godersi l’esotismo del pittoresco in un ingestibile pellegrinaggio verso il capolavoro. E così la regione intera, ogni suo prezioso bene -arte-storia-tradizioni- si consuma nel tempo breve di un selfie scattato per condividere un sogno di bellezza sognato nella culla del rinascimento. Persino il sacro è de-sacralizzato dalla fotografia di massa, la pornografia del digitale. Un fotografo, Marco Paoli, usa l’occhio in controtendenza cercando di individuare scenari abbandonati per produrre narrazioni decifrabili attraverso lo shock rivelatore di un’altra bellezza. Paoli è riuscito a scovare luoghi di poesia ancora incastrati nel territorio toscano come smeraldi in una caverna senza luce, e lo ha fatto in consonanza con chi di poesia vive e con la poesia illumina ogni giorno la caverna in cui viviamo. Alba Donati i cui versi sono come “un ago che ci ricuce al nulla”, oracoli e ballate a cui prestare ascolto per raggiungere luoghi “in cui i vivi e i morti sono ugualmente presenti”.

L’altra bellezza che Paoli scopre in una Toscana vissuta come una frontiera della meraviglia e dello stupore è una bellezza, a me pare, malinconica, saturnina. Dove tutto sembra impedire alla luce rinascimentale di penetrare e glorificare la materia di cui sono fatte le cose che passano. Paoli non ci mostra luoghi emblematici della storia e della cultura del rinascimento che vorremmo visitare e godere per crederci eterni. I paesaggi da lui immortalati sono piuttosto la periferia del paradiso, l’altra faccia imperscrutabile della luna. Paoli segue sentieri interrotti che portano ad una radura in cui tutto parla di solitudine e di abbandono, di sfascio e di dimenticanza. Cerca anfratti umidi e laceri, acquitrini e paludi, boschi intricati e pelosi, dove non passa che un raggio filamentoso di luce, camere del disagio psichico dove le mura sono come sindoni su cui resta l’impronta-ombra della malattia e dell’angoscia, “cortili abitati dalla rabbia/finestre tumefatte”, idoli corrosi e cieli ora plumbei ora abbrustoliti, abitanti e soglie di una terra abscondita. Fotografa giardini, statue combuste in pose fossilizzate, anch’esse malate, mangiate dal tempo, pilastri sfigurati dal muschio, giardini e siepi che galleggiano, evaporano nella nebbia. La Toscana perlustrata da Paoli è un’opera al nero che nella camera alchemica si trasmuta in oro. Il povero si fa ricco, l’abietto si fa bello, il residuale si fa glorioso, il misterioso si rivela senza svilirsi all’occhio profano. Quella di Paoli è una fotografia guidata da un senso francescano della bellezza. Paoli è a suo agio con il marginale e il povero, il malridotto e il penoso. Ma questo mondo che resiste lontano dallo spettacolo si rivela in queste immagini fastoso, sontuoso, opulento come solo la natura può essere. Si guardi una foto scattata in un bosco del nostro Appennino. Una reggia dove la luce filtra facendosi musica. Tronchi e rami come canne di organo e corde di arpa vibrano e intonano una preghiera agli dei della terra e a quelli del cielo. Hallelujah! Siamo fortunati ad avere incontrato Marco Paoli. La sua estetica della verità è in controtendenza tanto alla sublime potenza della virtualità – Paoli arriva sul posto come un fotoreporter o un documentarista- quanto alla contraffazione retorica della pubblicità turistica che ostenta la bellezza pura e incontaminata.  Cerca di immortalare nel linguaggio fotografico la verità del tempo perduto, quello di una Toscana di cui abbiamo perduto il tempo e non solo lo spazio. Non solo ritrova spazi giunto al limite della loro scomparsa, egli sa intuire e vedere un altro tempo in quel tempo che inesorabilmente scorre e si mangia la materia. Un tempo che avanzando arretra in quello che uno scrittore (Merce Cunningham) ha definito un pre-mondo.  Il tempo della luce che alimenta speranza di vita laddove avanza la morte, il tempo della verità dove cala l’oblio e il nulla. Tempo fuori dal tempo e tempo senza tempo, come certi luoghi della Toscana che non hanno posto nelle guide turistiche e non sono disponibili per selfie.  Ci vogliono occhi diversamente abili per viaggiare in una Toscana arcaica e tellurica, smemorata e immemore, viscerale e tumida, madida e fossile, inaridita e riarsa, sferzata e mangiata dalle stagioni. Una terra che nel vocio della piazza avrebbe smarrito perfino la sua voce senza le opere di Marco Paoli e i versi di Alba Donati. Per questo canto: “Hallelujah Toscana”.

Sergio Risaliti